Chitarra Acustica 02/2015
Chitarra, oud, kora
UN'ESPERIENZA T-RICORDA
Il mestiere di musicista, come sappiamo, riserva spesso delle incognite, ma per fortuna non mancano le belle sorprese. E una bella sorpresa per me è stata quella di suonare per il Festa d’Africa Festival, Festival internazionale delle culture dell’Africa contemporanea, che si è svolto a Roma lo scorso dicembre, affiancando l’africano Pape Sirinam Kanouté, cantante e suonatore di kora (una sorta di arpa-liuto africana), e Khyam Allami, un musicista di oud (il liuto mediorientale).
di Giovanni Palombo / foto di Cesare Di Cola
L’occasione era ghiotta, un trio con kora, oud e chitarra acustica è una formazione del tutto originale, con il valore aggiunto rappresentato dall’incontro di culture musicali diverse. Un trio il cui suono e repertorio erano da costruire e sperimentare. Anche la cornice non era indifferente, perché il luogo era il bellissimo Teatro Torlonia a Roma. Entrambi i musicisti con cui mi trovavo a condividere la serata portano avanti la loro tradizione musicale, ma nella propria rilettura di musicisti dei nostri tempi. Appena ricevuta dalla direttrice artistica del festival, Daniela Giordano, l’offerta di partecipare a questo trio per costruire il Concerto T-ricorda (Il titolo gioca sulla presenza di tre strumenti a corda e sulla parola ‘ricorda’, perché questo concerto era dedicato al musicista africano Duval Olivier, un amico della Festa d’Africa prematuramente scomparso), ho provato subito un forte entusiasmo per il progetto, sentendomi lusingato per la richiesta della mia partecipazione. Ma non posso negare che ho avuto anche momenti di perplessità pensando a quale direzione musicale un trio di questo tipo potesse prendere, per costruire ed eseguire un programma soddisfacente.
Tra l’altro mi era richiesto di coordinare e guidare il programma, e avevo un bel pensare a brani, frammenti, riletture. La realtà è che suonare insieme a strumenti che hai solo ascoltato sporadicamente, su CD o dal vivo, e che non appartengono al tuo vissuto musicale, da una parte ti stimola e dall’altra ti suscita dubbi. Inoltre Khyam, il suonatore di oud, sarebbe arrivato soltanto due giorni prima del concerto e, nonostante lo scambio via email di alcuni spartiti, ogni dubbio si sarebbe sciolto soltanto al momento della prima prova. E questo è avvenuto, sull’onda di un entusiasmo comune per questo progetto trasversale, che ha permesso in alcune ore di arrangiare insieme quattro brani, e deciso che ognuno di noi avrebbe anche suonato un breve set solista, per presentare il proprio strumento e per sottolineare la diversità di suono e repertorio. La serata sarebbe poi proseguita in crescendo, con duetti e trii.
Viste le caratteristiche degli strumenti e le tradizioni musicali in gioco, il suono modale avrebbe giocato il ruolo principale, mentre l’improvvisazione, con i diversi colori degli strumenti e degli stili, avrebbe trainato la dinamica, sottolineando a dovere i vari brani. Detto così non sembra troppo complicato, ma il senso ritmico, il gusto estetico e lo stile proprio di ognuno di noi, costituiva sia l’attrazione che in un certo senso il ‘pericolo’ per la nostra interazione. L’esperienza e la pratica di suonare con altri musicisti, con l’attenzione al suono degli altri che questo comporta, sono stati fondamentali e hanno costituito quell’aiuto costante, che permette a ognuno di esprimersi al meglio e di trovare buone soluzioni musicali nei vari brani.
Tanto per capire meglio, ricordo a tutti che la kora è uno strumento con 21 corde (in alcuni modelli fino a 25 corde), un’arpa particolare la cui accordatura viene realizzata in base al brano da suonare. L’oud, diffuso in tutta l’area mediorientale e proveniente dall’evoluzione di un antico strumento persiano, è invece un liuto cosiddetto a manico corto, e nei modelli più comuni ha 5 doppie corde più una corda singola che fa da bordone, quindi in tutto 11 corde. Si suona con il plettro e i suonatori di oud sono spesso dei veri virtuosi dello strumento.
In effetti Khyam Allami ha piuttosto impressionato per il suo gusto e un virtuosismo non fine a se stesso, ma legato profondamente all’espressione. La sua dinamica, dal piano al fortissimo, il languore malinconico delle scale usate, hanno lasciato il segno anche nei brani in solo, dove uno spiccato senso melodico si alternava al fraseggio delle parti improvvisate.
Pape Sirinam Kanouté è un musicista senegalese che si ricollega alla tradizione dei griot. I griot sono i cantastorie, nel senso nobile del termine, di molte regioni africane. Come detentori della conoscenza della tradizione del proprio popolo sono molto rispettati e, attraverso brani cantati e pezzi di sola musica, portano in giro una tradizione orale antichissima, mantenendola in vita. La kora ha un suono ammaliante, spesso circolare, cioè basato sulla ripetizione continua delle frasi musicali, che però subiscono delle microvariazioni, dunque piccole variazioni ma continue. Suonare insieme a questo esecutore significa porre la massima attenzione alla sua dinamica, capire dove egli si apre all’improvvisazione, perché ciò avviene sempre in momenti diversi e non regolari. Lo stesso senso ritmico può risultare improvvisamente variato, con l’introduzione di terzine, sestine e anche gruppi dispari, senza preavviso. Questo crea la magia dell’esecuzione, che altrimenti sarebbe ferma e ripetitiva, e stimola in noi musicisti ‘occidentali’ la capacità di intuire per tempo come si muove il brano.
Da parte mia ho cercato di inserire il mio stile chitarristico world, intendendo con questo termine uno stile aperto ed eclettico per quanto possibile. Poiché ero l’unico strumento realmente armonico – la kora e l’oud sono strumenti fondamentalmente melodici, con poche opportunità di fare armonia – ho lavorato sul groove, su linee di basso, aprendo quando possibile a piccole ‘fughe’ di accordi, inserendo in alcuni momenti accordi jazz e cercando di creare un tappeto sonoro che tenesse insieme gli arpeggi e le frasi degli altri. E quando si creava lo spazio opportuno ho improvvisato, divertendomi tantissimo. È evidente che, mentre in certi momenti occorreva riempire ogni spazio e sovrapporsi, in altri era necessario rarefarsi o farsi ‘liquidi’, cercando nei vari momenti l’enfasi e l’accento dello strumento più opportuno: 38 corde che vibrano insieme sono fantastiche, ma vanno gestite con attenzione!
Il set in solo di Pape Sirinam Kanouté ha aperto il concerto: l’abbigliamento tradizionale senegalese, vivacemente colorato, e la kora che si stagliava verticalmente davanti al musicista, hanno suscitato immediatamente attenzione e creato una certa atmosfera etnica e rituale allo stesso tempo. Il suono ipnotico accompagnava il canto, variando in tanti piccoli rivoli che poi tornavano alla matrice di partenza: un suono delicato e multiforme, continuo eppure in continua trasformazione. Un grande inizio per condurre lo spettatore dentro l’originalità del concerto.
Così, quando si passa all’oud, il pubblico è già immerso in una dimensione inusuale. Khyam Allamy si presenta, racconta un po’ chi è parlando un ottimo italiano, e poi inizia un brano lento, alternando melodia e silenzi, una magia languida di suoni che evocano spazi aperti e meditazione, per precipitare poi improvvisamente negli spazi affollati dei mercati: con il procedere dei brani emergono immagini affascinanti, i continui melismi e abbellimenti del fraseggio ci fanno assaporare un linguaggio musicale ricco e diverso. Il brano finale esplode in un intreccio di ‘fughe’ di sapore bachiano e improvvisazioni su scale orientali, fino ad una impennata ritmica che coinvolge tutti.
Al mio turno, con la mia Lakewood acustica suono due mie composizioni, “Hallelujah”, un brano gospel che mi sembra adatto a continuare quanto aperto da Khyam, e “Inafferrabile”, un pezzo evocativo lento e denso. Concludo il set entrando in un’atmosfera più mediterranea, senso melodico intenso e passaggi jazz con alcuni spazi improvvisativi. Il pubblico sembra apprezzare molto anche la varietà di suono e repertorio: la scelta di presentare i singoli strumenti sembra essere quella giusta.
Il successivo brano è un’improvvisazione in duo con Khyam Allami, oud e chitarra: un tappeto in Do minore in cui iniziamo lentamente con dei fraseggi ‘domanda e risposta’, che via via diventano più incalzanti. Moduliamo in Do maggiore, come avevamo stabilito: io porto un riff iniziale su cui l’oud si poggia in un continuo di frasi improvvisate, poi ci scambiamo i ruoli. Il gioco di rimpallarci le note è molto coinvolgente: mentre suoniamo ci ascoltiamo attentamente, ci sentiamo in sintonia e cerchiamo di sovrapporci, ma sempre mantenendo un senso di equilibrio, guidati dall’improvvisazione. Concludiamo in crescendo con un bell’unisono. Il pubblico apprezza molto.
Il concerto prosegue in trio, ci raggiunge Pape con la sua kora. È il momento di un canto tradizionale africano che parla dell’incontro e dello scambio tra persone diverse, un tema fondamentale nell’ambito di questo festival. La kora esegue una frase circolare ripetitiva, la chitarra acustica tesse passaggi sui bassi e frammenti di accordi, l’oud crea abbellimenti e variazioni. Il canto si dispiega con tipiche inflessioni africane, creiamo spazi improvvisati in cui ci alterniamo e ci sovrapponiamo, una cascata di note che è la somma di colori diversi. In una dimensione sempre modale, l’omaggio a Duval Olivier si concretizza con l’esecuzione del suo brano “El mismo cielo”, una rilettura di questa canzone in una versione soltanto strumentale, in cui i tre strumenti hanno dei ruoli più definiti. Chiudiamo la serata con un bis basato su una ninna nanna africana, dolce e cullante, ipnotica e giocata su moduli di alcune battute di durata diversa. Il ritorno al modulo principale è lasciato all’interplay dei musicisti che mettono così alla prova la loro sensibilità musicale e la loro interazione.
Quasi due ore di concerto mi lasciano felice di un’esperienza emozionante e istruttiva. E la conferma che l’incontro delle diversità è la chiave più importante per l’arricchimento reciproco.
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