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Gerlando Gatto | 04/Feb/2020
“Taccuino di Jazz popolare” di Giovanni Palombo
Il chitarrista Giovanni Palombo è anch’egli una vecchia e cara conoscenza di “A proposito di jazz”. Con lui mi lega un rapporto, non di ieri, basato su stima professionale e umana. Giovanni Palombo è un musicista sotto molti aspetti atipico; non cerca a tutti i costi la luce dei riflettori e non ama entrare in sala di incisione se non ritiene di avere qualcosa di buono da dire. Ecco, in questo “Taccuino di Jazz Popolare”, Giovanni, ben coadiuvato da Gabriele Coen (clarinetto e sax), Pasquale Laino (sax ed elettronica), Benny Penazzi (violoncello), Alessandro D’Alessandro (organetto) e Francesco Savoretti (percussioni), ribadisce, attraverso le sue più recenti composizioni, i punti fondamentali della sua poetica. Vale a dire una concezione musicale che abbraccia diversi generi, dalla world music all’ethno jazz, al folk… senza trascurare riferimenti alla musica araba e a quella colta, soprattutto quando entra in azione lo stupefacente violoncello di Penazzi. Così l’ascoltatore è trasportato in una sorta di viaggio immaginario in cui l’omaggio agli Oregon si sposa con la “luna rossa” di Istanbul, o la toccante “Preghiera della madre” è seguita da un brano che trae ispirazione da un detto tradizionale romano “A Li Santi Vecchi Nun Se Dà Più Incenso”. Il tutto giocato sulla base di una perfetta intesa in cui, ferma restando la valenza di tutti i musicisti, mi piace sottolineare da un canto l’espressività di Palombo, che va ben al di là della semplice conoscenza strumentale, e il lavoro “di fino”, se mi consentite l’espressione, di Francesco Savoretti che con le sue cangianti e colorate percussioni ha offerto un sostegno preciso, incalzante e soprattutto mai invadente. Come si accennava, il disco è stato successivamente presentato in concerto (alla Casa del Jazz di Roma, gennaio 2020), con un organico un po’ diverso dal momento che mancavano Laino e D’Alessandro. Ma il risultato è stato in ogni caso superlativo. Il quartetto si è mosso lungo le direttrici cui prima si faceva riferimento evidenziando la capacità di fondere le diverse esperienze e personalità in un unicum di rara e preziosa originalità. Davvero trascinanti i dialoghi tra Coen e Palombo e ancora una volta prezioso il contributo del già citato Francesco Savoretti. Gerlando Gatto.
Giovanni Palombo: Taccuino di Jazz Popolare
By MARIO CALVITTI
December 29, 2020
Nuovo album del chitarrista romano Giovanni Palombo, che segue di tre anni il precedente Retablo, raccoglie materiale da tre dei suoi ultimi progetti: il quartetto Camera Ensemble con Gabriele Coen, già attivo da diversi anni, e i più recenti duetti con il sassofonista Pasquale Laino e con il suonatore di organetto Alessandro d'Alessandro. Il disco rappresenta pertanto una escursione ad ampio raggio nella musica di Palombo, che ha modo di evidenziarne tutti gli elementi principali: dal jazz del quartetto, che fa la parte del leone con quattro dei nove brani complessivi, alla matrice più popolare nei duetti con l'organetto e a un lato un po' più sperimentale nei duetti con il sax soprano (e soprattutto l'elettronica) di Laino, questi ultimi rappresentati con due brani ciascuno. Non manca infine un brano di sola chitarra acustica, per ricordarci che Palombo è un ottimo rappresentante dello strumento.
La separazione tra i diversi elementi musicali non è comunque netta, in quanto tutte le diverse influenze si amalgamano e trovano realizzazione nella scrittura di Palombo, che è autore di temi squisitamente melodici e intrisi di un'intensa mediterraneità. Il jazz, in versione cameristica per la presenza del violoncello, è prevalente nei brani del quartetto, particolarmente nell'iniziale "A Touch of Oregon," tributo-omaggio al gruppo che rappresenta una delle principali fonti di ispirazione per il chitarrista. "Folk Danza" e "Scena Tango" sono duetti tra chitarra e organetto che evidenziano le radici popolari senza rinunciare allo swing, mentre i duetti col sax di Laino provano a realizzare una sintesi tra passato e futuro in "Scarborough Fair" elaborando uno dei temi più noti del folklore internazionale con l'elettronica applicata al suono del sax soprano, e la conclusiva "Luna Rossa a Istanbul" chiude il disco mettendone insieme tutte le diverse anime.
Oltre alla già ricordata capacità di scrittura, va riconosciuta al chitarrista il merito di saper sviluppare una grande empatia con tutti i musicisti che lo accompagnano, evidenziata da una forte espressività negli interventi solistici e una totale adesione al progetto musicale. Da segnalare infine che il disco è stato realizzato con una campagna di crowdfunding ed è pubblicato e distribuito da Emme Record Label.
Track Listing
A Touch of Oregon; Scarborough Fair; Retrobottega di barbiere; Folk danza; Meltemi; La preghiera della Madre; A li santi Vecchi non si dà più incenso; Scena Tango; Luna rossa a Istanbul.
Personnel
Giovanni Palombo: guitar; Gabriele Coen: saxophone, soprano; Benny Penazzi: cello; Francesco Savoretti : percussion; Pasquale Laino: saxophone, soprano; Alessandro d'Alessandro: accordion.
Album information
Title: Taccuino di Jazz Popolare | Year Released: 2020 | Record Label: Emme Record Label
Jazz Blues Black − Jazz − Fingerstyle World Jazz
Giovanni Palombo-Taccuino di Jazz Popolare
2019 - Emme Record Label 07/03/2020
- di Laura Bianchi - www.mescalina.i
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Coraggioso, il chitarrista e compositore Giovanni Palombo, che si è fatto aiutare da Gabriele Coen (clarinetto e sax), Pasquale Laino (sax ed elettronica), Benny Penazzi (violoncello), Alessandro D’Alessandro (organetto) e Francesco Savoretti(percussioni), per confezionare un disco coinvolgente e innovativo.Coraggiosa, l`etichetta EmmeRecordLabel, che segue il discorso di un jazz popolare, accattivante, mai banale o superficiale: e Taccuino di jazz popolare è un egregio esempio di come si possa riuscire a essere colti senza diventare spocchiosi, immediati senza essere scontati, e convincere sia l`ascoltatore meno esperto, sia l`appassionato più esigente.Raffinatezza e spontaneità si coniugano nelle otto tracce originali di Palombo, che ha scelto di inserire anche un omaggio di eccezione alla folk song Scarborough Fair, dai colori vividi come un prato inglese dopo la pioggia. Il viaggio compositivo del chitarrista si arricchisce di sfumature sempre nuove, dall`Oriente di Meltemi, che si apre, dopo un assolo di Palombo, a percussioni e a un incalzare ipnotico e suadente, o di Luna rossa a Istanbul, notturna ed evocativa, dall`affascinante alternanza di timbri e ritmi, fino all`America Latina di Scena Tango, con l`organetto in bella evidenza, passando per l`Oregon che dà il titolo alla prima traccia, in cui la dimensione jazz si fa più spiccata e l`arrangiamento da quartetto esalta l`interplay fra i musicisti, tutti al servizio di un`atmosfera da jam session, che rende perfettamente il clima dei live del gruppo.Menzione d`onore per l`intensa La preghiera della madre, autentica perla, composta di un`interazione fra suono e silenzio, pause e echi, che non può che sottolineare il messaggio intimo del brano, lettera di amore di Palombo alla madre, in cui tutti gli ascoltatori possono riconoscersi; e per la torrenziale A li santi vecchi nun se dà più incenso, autentica suite quasi cameristica, in cui il clarinetto di Coen guida parte della linea melodica, seguito da una serie di contributi preziosi, come quello del violoncello di Penazzi, mentre le corde di Palombo si inseriscono con delicatezza e incisività nell`andamento del brano. Coraggioso lavoro, da premiare con un ascolto ripetuto e appassionato, popolare e profondo insieme, come è il messaggio che Palombo e soci intendono trasmettere.
Jazz It, Marzo 2020
L’ultimo lavoro del fingerstyler romano.
Si intitola “Taccuino di jazz popolare” l’ultimo lavoro di Giovanni Palombo pubblicato dalla Emme Record Label; il chitarrista romano presenta un crocevia tra jazz, musica mediterranea e tradizioni popolari, un vero block notes fatto di notazioni musicali, idee e scampoli di brani che nel corso del tempo sono diventati composizioni complete.
I brani, tutti originali (tranne Scarborough Fair) sono eseguiti sia dal quartetto Camera Ensemble che vede oltre al chitarrista la presenza di Gabriele Coen (sax-clarinetto), Benny Penazzi (violoncello), Francesco Savoretti (percussioni) sia dal duo chitarra-organetto con Alessandro D’Alessandro e da quello con Pasquale Laino (chitarra-sax, electronics).
Fabio Ciminiera
Jazz Convention, 14 Apr. 2020
Emme Record Label - ERL1910 - 2019
Giovanni Palombo: chitarra acustica, chitarra classica
Gabriele Coen: clarinetto, sassofoni
Benny Penazzi: violoncello
Francesco Savoretti: percussioni
Pasquale Laino: sassofoni, elettronica
Alessandro D'Alessandro: organetto
La musica popolare e i suoni della chitarra come punto di incontro di un mondo sonoro sfaccettato e accogliente. Le tradizioni musicali italiane e mediterranee, i suoni acustici e il senso della melodia sono senz'altro al centro del disegno proposto da Giovanni Palombo: un nucleo che si anima poi di riferimenti diversi, utilizzati sempre in maniera funzionale e coerente, senza snaturare il filo espressivo tracciato dal chitarrista. Le suggestioni provenienti dal jazz e dalla musica classica così come gli inserti elettronici offrono di volta in volta possibilità espresive diverse e, allo stesso modo, la scelta di variare l'organico, a seconda dei brani. In questo modo, le atmosfere variano in maniera naturale e tracciano un percorso che si snoda fluido e coerente. Non manca, poi, uno sguardo fuori dai confini territoriali di "appartenenza", con il rimando di apertura agli Oregon (A Touch of Oregon) e alle tradizioni anglosassoni (Scarborough Fair) e, poi, con le traduzioni del tango (Scena Tango) e delle influenze orientali (Meltemi e Luna Rossa a Istanbul) nel linguaggio musicale di Palombo. Se la dimensione popolare, folklorica e basata sulle tradizioni, viene utilizzata con rispetto nei vari contesti, l'intenzione è però quella di mettere in luce i possibili riflessi scaturiti dagli incontri e dalle, pur discrete, ibridazioni. Se il quartetto evidenzia la declinazione più jazzistica, la particolare line up (chitarra, sassofono, violoncello e percussioni) e il nome scelto (Camera Ensemble) qualificano l'attitudine cameristica e il passo agile della formazione in una sintesi sempre essenziale e misurata tra le varie ispirazioni. L'interpretazione in chitarra solo de La preghiera della madre esplora una dimensione intima e melodica ma allo stesso tempo in grado di descrivere e rendere vivide le tensioni emotive. I due incontri in duo riflettono due scelte differenti: languido, rivolto ad esaltare il senso della danza e, complessivamente, più vicino alle tradizioni popolari l'incontro con l'organetto di Alessandro D'Alessandro in Folk Danza e Scena Tango; più trasversale con i sassofoni e l'elettronica di Pasquale Laino in Scarborough Fair, Luna Rossa a Istanbul. Una connotazione importante dell'approccio proposto da Giovanni Palombo è raccolta nella parola "taccuino" presente nel titolo. Il riferimento a un lavoro condotto con pazienza per serbare tutto il sapore delle sottigliezze, dei ricordi e dei dettagli: un'attenzione artigianale nella raccolta degli elementi e nella successiva trasmissione e condivisione con gli altri musicisti e con gli ascoltatori. Ed è, in effetti, questo il sentimento che passa attraverso i nove brani del disco: raccogliere gli spunti delle tradizioni, condividerli attraverso la rielaborazione e la scrittura, l'improvvisazione e l'idea del suonare insieme e, infine, tramandarli in una forma che se, da una parte, lascia vedere chiaro il punto di partenza, il rispetto per la storia e i linguaggi, dall'altra mette a confronto questo materiale con il mondo variegato e plurale di oggi. Segui Fabio Ciminiera su Twitter: @fabiociminiera
Fonte: Chitarra Acustica - Giugno 2016
SOLO O BEN ACCOMPAGNATO
intervista a Giovanni Palombo (di Andrea Carpi)
Dopo i suoi due ultimi lavori per Fingerpicking.net, il disco in duo con Maurizio Brunod, Tandem Desàrpa del 2012, e il metodo Improvvisazione fingerstyle dell’anno seguente, Giovanni Palombo è tornato a incidere un quarto album per l’Acoustic Music Records, del quale scrive nelle note di copertina: «Ho preso il titolo Retablo dal libro omonimo di Vincenzo Consolo. Il suono della parola mi ha affascinato, un termine che in spagnolo indica le pale di altare, dittici, trittici e polittici, che contengono dipinti diversi ma storie tra loro correlate. In modo analogo i brani del CD, ispirati da storie ed emozioni diverse, sono diversi ma legati tra loro da trame percettibili». Le varie letture di questo filo conduttore unitario si traducono in otto composizioni originali e una cover di “Goodbye Pork Pie Hat”, che sono state registrate nel corso di un anno circa in diversi studi in Italia e all’estero, e che si alternano in quattro esecuzioni in solo e in cinque prestigiosi duetti con Peter Finger, Claus Boesser-Ferrari, Luis Borda, Michael Manring e il suonatore di oud Khyam Allami. Dove Giovanni conferma la sua brillante vena di compositore e di arrangiatore, a metà strada tra melodia mediterranea, fingerstyle e jazz.
Come è stato registrato Retablo, soprattutto per quanto riguarda la parte dei duetti? Sono stati registrati perlopiù in diretta, in diversi studi?
- Sì, dovendo registrare dei duetti con artisti provenienti da diversi luoghi, non potevo permettermi di far confluire tutti nello studio dove normalmente registro, quindi ho cercato di tener conto degli eventuali passaggi in Italia di alcuni di loro, oppure dei miei spostamenti fuori Roma o all’estero. Per esempio è successo che Claus Boesser-Ferrari veniva a Firenze a suonare, allora io l’ho raggiunto, ho preso uno studio a Firenze e abbiamo registrato; naturalmente sempre con un tempo relativamente breve a disposizione, che da una parte è stata la cosa migliore, perché i brani in questo modo sono venuti quasi live, dei live in studio: registravamo tre o quattro take e, successivamente, io ho scelto le tracce migliori. Con Peter Finger è successa la stessa cosa quando lui è venuto a suonare a Vicenza, ed io ho preso uno studio a Padova. Anche se, sia con Claus che con Peter, durante un mio tour in Germania dell’anno scorso, avevo avuto l’occasione di fare una prova casalinga in modo da cominciare a impostare il lavoro. Poi con Luis Borda, un chitarrista di tango argentino che vive a sua volta in Germania e che ha un proprio home studio, sempre durante quel mio giro in Germania sono andato a casa sua, abbiamo fatto delle prove e poi abbiamo registrato. Avevo già preparato le parti e gliele avevo mandate in anticipo...
Chitarra Acustica - giugno 2016
Retablo
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Giovanni Palombo e Peter Finger
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Giovanni Palombo
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Camera Ensemble
Giovanni Palombo (chitarre acustiche), Gabriele Coen (clarinetto, sax), Andrea Piccioni (frame drums, percussioni), Benny Penazzi (violoncello)
Giovanni Palombo – RETABLO (Acoustic Music Records, 2015)
Giovanni Palombo ci regala il suo quarto album pubblicato dalla label tedesca Acoustic Music Records. Si intitola “Retablo”, è composto da nove brani straordinari e può essere ricondotto a composizioni di chitarra finger style. Delle nove tracce in scaletta, la penultima – intitolata “Oud Rendez-Vous” – è un’improvvisazione live in duo con Kyam Allami all’oud, mentre “Goodbye Park Pie Hat” è un’elaborazione del famoso brano scritto da Charlie Mingus per l’album del 1959 “Mingus Ah Um”.
Sarebbe forse superfluo indugiare sulla bravura di Palombo, che riesce – come ben sa chi segue le sue produzioni – a sintetizzare nelle sue mani e nelle sue dita un panorama musicale amplissimo. Nel quale si succedono, con coerenza ed equilibrio, ritmo, melodia, armonia e richiami a tante suggestioni: dal folk al jazz, fino agli echi di costruzioni che possono essere riconosciute in un’idea di world music contemporanea (mi fermo qui perché la strada è molto scivolosa, specie se, come in questo caso, si frappone tra un’idea e un lavoro artistico non esplicitato in questi termini e il modesto programma di interpretazione sviluppato in queste righe). Ma per dar conto delle articolazioni dei brani che sono confluiti in questo lavoro è necessario partire dall’assetto, dal progetto, in modo da individuare con più chiarezza gli elementi più importanti a cui i brani fanno riferimento. Innanzitutto è fondamentale l’immersione nel suono, in modo da assorbire lo spettro sonoro di ogni corda. E sarebbe già appagante. A questo poi si può aggiungere l’attenzione (più analitica) alla scrittura e all’esecuzione. Che in termini generali e probabilmente inadeguati potremmo definire aperta, libera, estemporanea, perforrmativa. E che, in termini più precisi, definiamo invece strutturata, cioè saldata a un’idea definita, nella quale lo sviluppo di un tema evidentemente centrale ricopre la stessa importanza della precisazione dei dettagli e i suoni portanti poggiano spesso su suoni più secondari (“Total eclipse of the earth”), suonati dentro una dinamica più morbida e di contorno. Come si può leggere in molte delle note che parlano dell’album o, in generale, della discografia di Palombo, si avvertono dei legami con alcune tradizioni espressive ben consolidate. Ma a ben vedere non credo che questo sia particolarmente importante, ai fini non solo della comprensione della musica confluita in “Retablo”, ma soprattutto della visione che i nove brani vogliono esprimere. Ciò che emerge in modo più netto, infatti, è il flusso narrativo della chitarra (ci mancherebbe altro), che si configura dentro un progetto evidentemente personale e (perché no?) introspettivo. Un progetto che lascia senz’altro trapelare la visione inclusiva di una musica composta da parti evanescenti quanto concrete, ricucite dentro una prassi esecutiva mai divergente ma anzi equilibrata e puntuale. Ma che, in definitiva, ha l’obbiettivo di esprimere le articolazioni di un pensiero complesso. Di un pensiero pensato da Palombo e trasfigurato dentro la dinamica di uno strumento che qui diviene molto di più, assumendo i tratti ramificati di un linguaggio pieno di sfumature (“Il sommo artigiano”). La coerenza del progetto è in qualche modo riflessa anche nella selezione e sistemazione dei brani che compongono “Retablo”, imperniati attorno a un suono perfetto e stratificati l’uno sull’altro nel quadro di esecuzioni raffinate e imprevedibili, che attingono a varie tecniche oltre che, come si diceva prima, a varie possibilità narrative. Anche questo è in linea con il dinamismo dell’album, che si configura piuttosto come una successione coerente di impressioni, di storie. Come ci dice lo stesso Palombo, le relazioni tra i brani si muovono tra i due poli dell’indipendenza e della connessione, in modo da garantire una serie di movimenti mai uguali e, allo stesso tempo, sottolineare la laboriosità del programma. Tra i brani più profondi, è importante segnalare “Anna e Maurizio”, in duo con Peter Finger, “Farewell to John” e Halleluya”.
Daniele Cestellini
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Fonte: http://www.blogfoolk.com/2016/06/giovanni-palombo-retablo-acoustic-music.html
Testo di Giovanni Palombo - foto di Sebastiano Privitero
Testo di Giovanni Palombo - foto di Cesare Di Cola
Tra l’altro mi era richiesto di coordinare e guidare il programma, e avevo un bel pensare a brani, frammenti, riletture. La realtà è che suonare insieme a strumenti che hai solo ascoltato sporadicamente, su CD o dal vivo, e che non appartengono al tuo vissuto musicale, da una parte ti stimola e dall’altra ti suscita dubbi. Inoltre Khyam, il suonatore di oud, sarebbe arrivato soltanto due giorni prima del concerto e, nonostante lo scambio via email di alcuni spartiti, ogni dubbio si sarebbe sciolto soltanto al momento della prima prova. E questo è avvenuto, sull’onda di un entusiasmo comune per questo progetto trasversale, che ha permesso in alcune ore di arrangiare insieme quattro brani, e deciso che ognuno di noi avrebbe anche suonato un breve set solista, per presentare il proprio strumento e per sottolineare la diversità di suono e repertorio. La serata sarebbe poi proseguita in crescendo, con duetti e trii.
Viste le caratteristiche degli strumenti e le tradizioni musicali in gioco, il suono modale avrebbe giocato il ruolo principale, mentre l’improvvisazione, con i diversi colori degli strumenti e degli stili, avrebbe trainato la dinamica, sottolineando a dovere i vari brani. Detto così non sembra troppo complicato, ma il senso ritmico, il gusto estetico e lo stile proprio di ognuno di noi, costituiva sia l’attrazione che in un certo senso il ‘pericolo’ per la nostra interazione. L’esperienza e la pratica di suonare con altri musicisti, con l’attenzione al suono degli altri che questo comporta, sono stati fondamentali e hanno costituito quell’aiuto costante, che permette a ognuno di esprimersi al meglio e di trovare buone soluzioni musicali nei vari brani.
Tanto per capire meglio, ricordo a tutti che la kora è uno strumento con 21 corde (in alcuni modelli fino a 25 corde), un’arpa particolare la cui accordatura viene realizzata in base al brano da suonare. L’oud, diffuso in tutta l’area mediorientale e proveniente dall’evoluzione di un antico strumento persiano, è invece un liuto cosiddetto a manico corto, e nei modelli più comuni ha 5 doppie corde più una corda singola che fa da bordone, quindi in tutto 11 corde. Si suona con il plettro e i suonatori di oud sono spesso dei veri virtuosi dello strumento.
In effetti Khyam Allami ha piuttosto impressionato per il suo gusto e un virtuosismo non fine a se stesso, ma legato profondamente all’espressione. La sua dinamica, dal piano al fortissimo, il languore malinconico delle scale usate, hanno lasciato il segno anche nei brani in solo, dove uno spiccato senso melodico si alternava al fraseggio delle parti improvvisate.
Pape Sirinam Kanouté è un musicista senegalese che si ricollega alla tradizione dei griot. I griot sono i cantastorie, nel senso nobile del termine, di molte regioni africane. Come detentori della conoscenza della tradizione del proprio popolo sono molto rispettati e, attraverso brani cantati e pezzi di sola musica, portano in giro una tradizione orale antichissima, mantenendola in vita. La kora ha un suono ammaliante, spesso circolare, cioè basato sulla ripetizione continua delle frasi musicali, che però subiscono delle microvariazioni, dunque piccole variazioni ma continue. Suonare insieme a questo esecutore significa porre la massima attenzione alla sua dinamica, capire dove egli si apre all’improvvisazione, perché ciò avviene sempre in momenti diversi e non regolari. Lo stesso senso ritmico può risultare improvvisamente variato, con l’introduzione di terzine, sestine e anche gruppi dispari, senza preavviso. Questo crea la magia dell’esecuzione, che altrimenti sarebbe ferma e ripetitiva, e stimola in noi musicisti ‘occidentali’ la capacità di intuire per tempo come si muove il brano.
Da parte mia ho cercato di inserire il mio stile chitarristico world, intendendo con questo termine uno stile aperto ed eclettico per quanto possibile. Poiché ero l’unico strumento realmente armonico – la kora e l’oud sono strumenti fondamentalmente melodici, con poche opportunità di fare armonia – ho lavorato sul groove, su linee di basso, aprendo quando possibile a piccole ‘fughe’ di accordi, inserendo in alcuni momenti accordi jazz e cercando di creare un tappeto sonoro che tenesse insieme gli arpeggi e le frasi degli altri. E quando si creava lo spazio opportuno ho improvvisato, divertendomi tantissimo. È evidente che, mentre in certi momenti occorreva riempire ogni spazio e sovrapporsi, in altri era necessario rarefarsi o farsi ‘liquidi’, cercando nei vari momenti l’enfasi e l’accento dello strumento più opportuno: 38 corde che vibrano insieme sono fantastiche, ma vanno gestite con attenzione!
Il set in solo di Pape Sirinam Kanouté ha aperto il concerto: l’abbigliamento tradizionale senegalese, vivacemente colorato, e la kora che si stagliava verticalmente davanti al musicista, hanno suscitato immediatamente attenzione e creato una certa atmosfera etnica e rituale allo stesso tempo. Il suono ipnotico accompagnava il canto, variando in tanti piccoli rivoli che poi tornavano alla matrice di partenza: un suono delicato e multiforme, continuo eppure in continua trasformazione. Un grande inizio per condurre lo spettatore dentro l’originalità del concerto.
Così, quando si passa all’oud, il pubblico è già immerso in una dimensione inusuale. Khyam Allamy si presenta, racconta un po’ chi è parlando un ottimo italiano, e poi inizia un brano lento, alternando melodia e silenzi, una magia languida di suoni che evocano spazi aperti e meditazione, per precipitare poi improvvisamente negli spazi affollati dei mercati: con il procedere dei brani emergono immagini affascinanti, i continui melismi e abbellimenti del fraseggio ci fanno assaporare un linguaggio musicale ricco e diverso. Il brano finale esplode in un intreccio di ‘fughe’ di sapore bachiano e improvvisazioni su scale orientali, fino ad una impennata ritmica che coinvolge tutti.
Al mio turno, con la mia Lakewood acustica suono due mie composizioni, “Hallelujah”, un brano gospel che mi sembra adatto a continuare quanto aperto da Khyam, e “Inafferrabile”, un pezzo evocativo lento e denso. Concludo il set entrando in un’atmosfera più mediterranea, senso melodico intenso e passaggi jazz con alcuni spazi improvvisativi. Il pubblico sembra apprezzare molto anche la varietà di suono e repertorio: la scelta di presentare i singoli strumenti sembra essere quella giusta.
Il successivo brano è un’improvvisazione in duo con Khyam Allami, oud e chitarra: un tappeto in Do minore in cui iniziamo lentamente con dei fraseggi ‘domanda e risposta’, che via via diventano più incalzanti. Moduliamo in Do maggiore, come avevamo stabilito: io porto un riff iniziale su cui l’oud si poggia in un continuo di frasi improvvisate, poi ci scambiamo i ruoli. Il gioco di rimpallarci le note è molto coinvolgente: mentre suoniamo ci ascoltiamo attentamente, ci sentiamo in sintonia e cerchiamo di sovrapporci, ma sempre mantenendo un senso di equilibrio, guidati dall’improvvisazione. Concludiamo in crescendo con un bell’unisono. Il pubblico apprezza molto.
Il concerto prosegue in trio, ci raggiunge Pape con la sua kora. È il momento di un canto tradizionale africano che parla dell’incontro e dello scambio tra persone diverse, un tema fondamentale nell’ambito di questo festival. La kora esegue una frase circolare ripetitiva, la chitarra acustica tesse passaggi sui bassi e frammenti di accordi, l’oud crea abbellimenti e variazioni. Il canto si dispiega con tipiche inflessioni africane, creiamo spazi improvvisati in cui ci alterniamo e ci sovrapponiamo, una cascata di note che è la somma di colori diversi. In una dimensione sempre modale, l’omaggio a Duval Olivier si concretizza con l’esecuzione del suo brano “El mismo cielo”, una rilettura di questa canzone in una versione soltanto strumentale, in cui i tre strumenti hanno dei ruoli più definiti. Chiudiamo la serata con un bis basato su una ninna nanna africana, dolce e cullante, ipnotica e giocata su moduli di alcune battute di durata diversa. Il ritorno al modulo principale è lasciato all’interplay dei musicisti che mettono così alla prova la loro sensibilità musicale e la loro interazione.
Quasi due ore di concerto mi lasciano felice di un’esperienza emozionante e istruttiva. E la conferma che l’incontro delle diversità è la chiave più importante per l’arricchimento reciproco.
Giovanni Palombo
Un libro sull’improvvisazione per chitarra fingerstyle è raro. L’argomento può interessare chiunque suoni lo strumento con le dita, quindi chitarristi acustici e classici, ma anche fingerstyler della chitarra elettrica. Gli studi presentati prendono spunto dal jazz moderno, dal blues, dalla chitarra classica e dalla world music: una miscela che rende la chitarra moderna universale e versatile, legata ai linguaggi ma potenzialmente aperta a tutte le possibili direzioni. Leggi